venerdì 5 dicembre 2014

I primi piatti

(Riporto un articolo tratto dal portale del PROGETTO ASCO dedicato ai primi piatti). L'articolo mi è piaciuto perchè dotato di bibliografia e di facile comprensione).


Autori: Dr. Michele Sculati, Medico Specialista in Scienza dell’Alimentazione, PhD

L’abitudine al consumo di primi piatti è squisitamente italiana, risulta difficile trovare in altre nazioni una varietà di gusti ed ingredienti paragonabile; all’estero solitamente pasta o riso vengono presentati con ricette scarne ed in porzioni ridotte insieme al secondo piatto, nei cosiddetti “combo-meals” frequenti nella cucina anglosassone [1]. Il primo piatto è un cardine della nostra tradizione culinaria, la principale culla della dieta mediterranea che è considerata patrimonio dell’Unesco; eppure, con una riduzione del consumo di pasta del 23% in 10 anni [2], sembra che sia in atto una lenta disaffezione a questa categoria di alimenti. Perché?
La pasta fa ingrassare?
E’ sempre più diffusa l’opinione che la pasta ed i primi piatti ricchi in carboidrati facciano ingrassare e siano parte del dilagante problema di sovrappeso ed obesità; in un sondaggio di Nielsen si è osservato un aumento del 20 % di persone che ritengono la pasta nemica della propria linea nel solo periodo 2008-2012 [3]. La convinzione che la pasta ed i primi piatti facciano ingrassare viene diffusa anche dalla fiorente industria della dieta (diet industry), che solitamente propone diete a basso o bassissimo tenore di carboidrati; tali diete risultano efficaci nel breve periodo (qualche mese), tuttavia se si analizzano i risultati nel medio lungo periodo (1-3 anni) esse provocano un peggioramento complessivo del comportamento alimentare, come ben descritto da Gérard Apfeldorfer [4]. Restringere eccessivamente e per lungo periodo l’apporto di carboidrati, di cui sono ricchi i primi piatti, può causare in soggetti in sovrappeso un successivo aumento della impulsività e compulsività alimentare [5]. La restrizione calorica è in grado di aumentare la sensibilità dei circuiti di gratificazione dopaminergici presenti nel nostro cervello [6], questi circuiti vengono attivati da sostanze o comportamenti che causano dipendenza, e nell’obesità è proprio il cibo che da dipendenza [7].  In tali persone può persistere la restrittività alimentare nei confronti di pietanze come i primi piatti, mentre l’impulsività alimentare farà aumentare il consumo di cibi immediatamente disponibili (snack) e ad alta densità energetica. I dati di vendita di snack dolci (anche con o a base di cioccolato) e salati, infatti, registrano nei medesimi anni incrementi di vendite e consumi [8] [9].
Consumare un primo piatto al giorno è parte di una dieta bilanciata, gli amidi in essi presenti ci aiutano ad avere energia di lunga durata, consentendo di mantenere un comportamento alimentare ordinato nel rispetto delle occasioni alimentari principali.
Meglio pasta o riso?
La paste e il riso sono i due ingredienti principali dei primi piatti in Italia, seguiti da ravioli o tortellini, gnocchi, farro e orzo. Solitamente al riso si attribuisce una maggiore leggerezza rispetto alla pasta, in realtà il termine leggerezza può essere confondente: il riso e la pasta hanno un contenuto calorico del tutto sovrapponibile. Il riso risulta mediamente più digeribile della pasta, questo in quanto la struttura molecolare dell’amido in esso contenuto è più veloce da digerire. Tale caratteristica può essere interessante, ma ricordiamo che una maggiore velocità di digestione e di assorbimento si traduce in un maggior indice glicemico; avere un indice glicemico maggiore significa rilevare incrementi della glicemia più repentini e meno persistenti. Il consumo di alimenti a basso indice glicemico è suggeribile in persone con diabete [10] o a rischio di sviluppare alterazioni del metabolismo dei carboidrati, oltre che aver mostrato risultati interessanti nel contenimento del sovrappeso anche in revisioni della letteratura di rilievo come le Cochrane [11]. La pasta mediamente ha un indice glicemico minore del 50 % rispetto al riso [12];  visti i nostri stili di vita, l’incremento si sovrappeso ed obesità e delle co-morbidità, quali il diabete, questo paramento risulta interessante.
La pasta è un “carboidrato”?
Al fine di semplificare la comunicazione in ambito nutrizionale alle volte si incappa in messaggi semplicistici ed imprecisi, come il fatto che la pasta sia ricca solo di carboidrati; è sufficiente osservare l’etichetta nutrizionale riportata sulle confezioni per scoprire che la pasta contiene il 12-14% di proteine, il che non è trascurabile. Per meglio comprenderne l’entità, confrontiamo l’apporto proteico di una porzione media di pasta e di bistecca (secondo porzionature INRAN): 10 g di proteine per la porzione di pasta vs 20 g per la porzione di carne, il che significa che in una porzione di pasta sono presenti le proteine contenute in mezza bistecca, una quota non trascurabile. Questa osservazione ricorda che la pasta non è solo un “carboidrato”, tant’è che secondo la normativa dell’European Food Safety Authority la pasta è definibile come “fonte di proteine” [13]. Tale caratteristica non è riscontrabile nel riso, che in media ha il 50% in meno di proteine, e non viene migliorata da paste alternative come quella al Kamut, che non ha dimostrato vantaggi nutrizionali di rilievo.
La pasta mi gonfia, sarò intollerante al glutine?
La sensazione di gonfiore o tensione addominale è una condizione frequentemente riportata dai pazienti: dal 10 al 30% [14] [15], la cronicità ed il fastidi di tale sintomo possono portare il paziente a cercare soluzioni “alternative” al faticoso cambiamento dello stile di vita, ed in questo periodo i test “alternativi” per le intolleranze alimentari risultano sempre più diffusi. L’intolleranza al glutine o al frumento viene frequentemente rilevata da tali test, che hanno mostrato problemi di attendibilità proprio per l’elevato numero di “falsi positivi”; infatti, società scientifiche rappresentanti medici allergologi  italiani [16], inglesi [17], americani [18], canadesi [19], australiani [20], nonché  consensi condivisi tra le società a livello internazionale [21], hanno stilato specifiche “position paper” che ne documentano l’inattendibilità, nonché la potenziale pericolosità di diete basate sui risultati di tali test. L’intolleranza al glutine andrebbe valutata con gli appositi test di screening effettuati dal medico di medicina generale, mentre i sospetti di una condizione più sfumata chiamata “gluten sensitivity” andrebbero diagnosticati da un gastroenterologo, con precisione e secondo le procedure suggerite (double-blind placebo-controlled gluten challeng [22]) e non con una semplice diagnosi di esclusione.
Quale è la porzione corretta e quali ricette preferire?
Il consumo di porzioni eccessive, le cosiddette super o king size, o l’incremento della densità energetica sono entrambi fattori fortemente associati all’eccesso di peso ed all’obesità; quindi nel consumo di primi piatti devono essere rispettate semplici indicazioni di tipo quantitativo e qualitativo. La porzione media di pasta o riso secondo l’INRAN [23] è di 80 grammi, essa può variare a seconda dell’individuo, quindi in un adolescente che pratica amatorialmente attività fisica si possono raggiungere i 100 grammi, in una persona che svolge un lavoro fisicamente attivo si può incrementare ulteriormente. Scendere al di sotto dei 70 grammi, anche in soggetti in sovrappeso, limiterebbe in modo significativo l’utilità di alcune caratteristiche nutrizionali dei primi piatti.
Le abitudini che possono far incrementare la densità energetica dei primi piatti riguardano prevalentemente la preparazione dei sughi, vediamo alcuni esempi: anche sughi considerati leggeri come il pesto sono in realtà ad alta densità energetica, contenendo olio, pinoli e formaggio e vanno aggiunti con moderazione; aggiungere formaggi al sugo ne aumenta la densità energetica, il tradizionale cucchiaino di parmigiano va benissimo, una “nevicata” di parmigiano è eccessiva; anche se si tratta di mozzarella o ricotta sono comunque aggiunte che irrobustiscono la ricetta; la quantità di olio usato come base per il soffritto va controllata con una certa attenzione ed il consumo di primi al forno andrebbe limitato alle occasioni speciali in quanto nelle preparazioni tradizionali sono presenti maggiori quantità di formaggio, besciamella ed altri ingredienti che ne elevano la densità energetica. Sughi in cui vengono utilizzate olive, capperi e acciughe vanno considerati con attenzione in caso di ipertensione, in quanto ingredienti particolarmente ricchi di sodio.


[1] The new american plate, American institute for cancer research, www.airc.com, accessed gen 2014.
[2] Italy Loses Its Taste for Pasta. Consumption Has Dropped 23% in Past Decade. The Wall Street Journal, Oct. 11, 2013.
[3] ANSA. Italiani stanno perdendo amore per la pasta. 10 Ott 2013.
[4]  Gérard Apfeldorfer. Jean-Philippe Zermati Bugie, dieta Dukan e altre sciocchezze, Rizzoli 2013
[5] MARCIA LEVIN PELCHAT Food Cravings in Young and Elderly Adults. Appetite, February 1997, Pages 103–113
[6]  Carr KD. Augmentation of drug reward by chronic food restriction: behavioral evidence and underlying mechanisms. Physiol Behav. 2002 Jul;76(3):353-64.
[7] Potenza MN Obesity, food, and addiction: emerging neuroscience and clinical and public health implications. Neuropsychopharmacology, 2014 Jan;39(1):249-50.
[8] I MERCATI GROCERY Gli snack salati al di là della crisi. Mark-up- il sole 24 ore, mar 2012, n 207
[9] Snacks dolci, Market Italy Report Food, 2010
[10] La Terapia Medica Nutrizionalenel Diabete Mellito. Gruppo di studio ADI-AMD-SID “Nutrizione e diabete” Le raccomandazioni nutrizionali 2013-2014.
[11] Thomas DE, Elliott EJ, Baur L. Low glycaemic index or low glycaemic load diets for overweight and obesity. Cochrane Database Syst Rev. 2007 Jul 18;(3):CD005105.
[12] Atkinson FS, Foster-Powell K, Brand-Miller JC. International tables of glycemic index and glycemic load values: 2008. Diabetes Care. 2008 Dec;31(12):2281-3.
[13] REGOLAMENTO (CE) N. 1924/2006 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 dicembre 2006
[14] Sandler RS, Stewart WF, Liberman JN, Ricci JA, Zorich NL. Abdominal pain, bloating, and diarrhoea in the
United States. Prevalence and impact. Dig Dis Sci 2000;45: 1166–71.
[15] Drossman DA, Li Z, Andruzzi E, Temple R et al. US householder survey of functional gastrointestinal disorders: prevalence, sociodemography and health impact. Dig Dis Sci 1993; 38: 1569–80.
[16] Associazione Allergologi ed Immunologi Territoriali ed Ospedalieri, POSITION PAPER I test “alternativi” nella diagnostica delle allergopatie. http://www.aaito.it/, accessed 3 sept 2013
[17] National Institute for Health and Clinical Excellence. Food allergy in children and young people Diagnosis and assessment of food allergy in children and young people in primary care and community settings. Issue date: February 2011
[18] American Academy of Allergy, Asthma & Immunology support of the European Academy of Allergy and Clinical Immunology position paper on IgG4: Submitted by the Adverse Reactions to
Foods Committee, 2010.
[19] Stuart Carr et al, CSACI Position statement on the testing offood-specific IgG Carr et al. Allergy, Asthma & Clinical Immunology 2012, 8:12
[20] The Australasian Society of Clinical Immunology and Allergy (ASCIA) . Position Statement Unorthodox Techniques for the Diagnosis and Treatment of allergy, Asthma and Immune Disorders . November 2007 Based on the October 2004 version published online; accessed 3 sept 2013
[21] Burks AW et al ICON: food allergy. (American Academy of Allergy, Asthma & Immunology; European Academy of Allergy and Clinical Immunology; World Allergy Organization; and American College of Allergy, Asthma & Immunology; International Consensus ON  – ICON – ).  J Allergy Clin Immunol. 2012 Apr;129(4):906-20.
[22] Umberto Volta et al. Non-celiac gluten sensitivity: questions still to be answered despite increasing awareness.  Cellular & Molecular Immunology (2013) 10, 383–392; doi:10.1038/cmi.2013.28; published online 12 August 2013
[23] LINEE GUIDA PER UNA SANA ALIMENTAZIONE ITALIANA- ed 2003

martedì 23 settembre 2014

Un giretto a Corropoli (TE)

Con molto piacere annuncio la mia collaborazione con la PARAFARMACIA della Dott.ssa Marchianò a Corropoli (TE).

A tale proposito abbiamo organizzato un pomeriggio per parlare di corretta alimentazione.
Io saro' a disposizione per rispondere alle vostre domande.


lunedì 16 giugno 2014

PROBIOTICI O FERMENTI LATTICI?

Troppo spesso mi capita di sentire storie di pazienti, ma anche amici (di tutte le età...e questo è ciò che è peggio) che dopo una terapia antibiotica dicono di non aver assunto nulla per "ricreare" la microflora intestinale. L'antibiotico, da anti=contro e bios=vita, è utile per sterminare le infezioni batteriche, ma anche se ceppo specifico, va ad "uccidere" la microflora autoctona.
È a questo punto che entra in gioco l'integrazione con PROBIOTICI, ovvero batteri (in forma liofilizzata) specie specifici. Essi sono dotati di acidofilia (cioè resistenza all'acidità dello stomaco in modo da poter transitare indenni), capaci di aderire alle pareti intestinali e compatibili con il nostro sistema immunitario formano colonie permanenti ed ingrado di rinnovarsi per generazioni sulle pareti intestinali. Le caratteristiche di questi batteri sono ben differenti da quell dei battei lattici che sono non specie specifici per l'uomo, non in grado di resistere ai nostri succhi gastrici, incapaci di formare colonie ed aderire alle pareti intestinali. I probiotici veri sono alcuni lattobacilli e bifidobatteri e qualche enterococco. Nessun bacillus ha azione probiotica provata sebbene rimanga utile a livello tecnologico (pensiamo allo yogurt).
I probiotici vanno ingeriti a stomaco pieno poiché il cibo li protegge dall'acidità e ne agevola il transito. Inoltre quando si "svegliano" dal letargo indotto dalla liofilizzazione hanno bisogno di cibo per le loro necessità energetiche e vitali. È meglio (anche se le nuove tecnologie lo permettono) ingerire un solo tipo di probiotico alla volta; può essere difficile per loro inserirsi nel sito ecologico di competenza e "lottare"con batteri ostili, figuriamoci doversi difendere da ceppi "colleghi" probiotici differenti.
Non bisogna dimenticare che in base al ceppo possono arrivare "vivi e attivi" in determinate zone del nostro intestino....guardate l'immagine!



sabato 31 maggio 2014

Tutti i benefici degli acidi grassi OMEGA 3 (PARTE 2: obesità, iperlipidemie, infiammazioni e patologie cardiache)



Gli OMEGA 3 hanno un effetto positivo anche dal punto di vista antinfiammatorio. Del resto quando si parla di obesità, e quindi di organo adiposo, non si puo' omettere uno stato generalizzato di infiammazione. Ma le patologie infiammatorie sono le piu' svariate comprese le patologie reumatiche e le artriti. 
Inoltre è noto l'effetto positivo in fatto di cardiopatie ed iperlipidemie. 

Attività anti infiammatoria
Am J Clin Nutr. 2009; 90:415-24. Fish-oil supplementation induces anti-inflammatory gene expression profiles in human blood mononuclear cells. - Bouwens M, van de Rest O, Dellschaft N, Bromhaar MG, de Groot LC, Geleijnse JM, Müller M, Afman LA.

Un nuovo studio di nutrigenomica evidenzia i benefici degli omega-3, contenuti nell’olio di pesce, per il mantenimento della buona salute del sistema immunitario. Infatti, in una popolazione di anziani in buona salute, è stato osservato che il DHA (acido docosaesaenoico) e l’EPA (acido eicosapentaenoico) contenuti nell’olio di pesce alterano i profili di espressione genica di cellule mononucleari del sangue periferico (PBMC), appartenenti al sistema immunitario, verso stati anti-infiammatori e anti-aterogenici. Una nuova attività degli omega-3 di cui sono già noti gli effetti positivi sulla salute cardiovascolare, sul rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro, sul corretto sviluppo del feto durante la gravidanza, su una migliore salute delle articolazioni, e sul miglioramento del comportamento e dello stato d'animo.

Alti livelli serici di omega-3 sono correlati con un lento invecchiamento cellulare
Journal of the American Medical Association. 2010; 303:250-257. Association of Marine Omega-3 Fatty Acid Levels With Telomeric Aging in Patients With Coronary Heart Disease   Farzaneh-Far R, Lin J, Epel ES, Harris WS, Blackburn EH, Whooley MA 

Una maggiore assunzione di acidi grassi omega-3 marini è associata ad una sopravvivenza prolungata nei pazienti affetti da malattia coronarica. Infatti è stata studiata l'associazione tra livelli di acidi grassi omega-3 nel sangue e i cambiamenti temporali nella lunghezza dei telomeri (marker di invecchiamento biologico). In uno studio prospettico di coorte su pazienti ambulatoriali con coronaropatia stabile, è stato osservato che il tasso di accorciamento della lunghezza dei telomeri leucocitari è inversamente associato all’assunzione di acidi grassi omega-3 a lunga catena: un aumento dei livelli di acidi grassi omega-3 nel sangue è stato associato ad una riduzione del 32% della probabilità di accorciamento dei telomeri. 

DHA e funzionalità piastrinica
The FASEB Journal article fj.09-133421. 2009. Increasing intakes of the long-chain -3 docosahexaenoic acid: effects on platelet functions and redox status in healthy men - Guillot N, Caillet E, Laville M, Calzada C, Lagarde M, Véricel E

Una dose di 200 mg al giorno di DHA può prevenire le malattie cardiovascolari negli uomini sani. E’ stato visto che due settimane di supplementazione sono state sufficienti per indurre un effetto antiossidante in un gruppo di pazienti trattati. 250 mg di EPA e DHA sono i valori di riferimento da considerare se si vuole integrare la propria dieta con questi acidi grassi. Anche se le raccomandazioni dell’American Heart Association sostengono che l’integrazione giornaliera di DHA ed EPA dovrebbe essere di circa un 1 g in più nelle persone con malattia coronarica.

Associati alle statine possono controllare la lipemia
European Journal of Clinical Nutrition. Eur J Clin Nutr. 2011; 65:110-6 Prospective randomized comparison between omega-3 fatty acid supplements plus simvastatin versus simvastatin alone in Korean patients with mixed dyslipidemia: lipoprotein profiles and heart rate variability. Kim, SH; Kim, MK; Lee, HY; Kang, HJ; Kim, YJ; Kim, HS

La combinazione di statine con acidi grassi omega-3 (supplementi sottoforma di capsule) può essere più efficace nel gestire una condizione di iperlipemia, piuttosto che le statine assunte in monoterapia, in pazienti iperlipidemici (TG: 200-499mg/100ml) e ipercolesterolemici (colesterolo totale superiore a 200mg/100ml). Infatti un trattamento in combinazione (20mg di simvastatina + 4g di omega-3 al giorno (1,86g di EPA e 1,4g di DHA)) è risultato essere efficace nel ridurre i livelli ematici di trigliceridi del 41% , rispetto al 13,9% del trattamento in monoterapia con statine (simvastatina). La combinazione di acidi grassi omega-3 e simvastatina, dovrebbe essere considerata una opzione di trattamento ottimale per i pazienti con dislipidemia mista, in grado di abbassare i livelli dei TG, senza attenuare la riduzione del colesterolo LDL, già indotta dalle statine. Lo studio sembra supportare i numerosi studi che collegano l'assunzione di omega-3 al miglioramento della salute cardiovascolare. Ad oggi, gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) sono stati associati a miglioramenti nei livelli di lipidi nel sangue, ad una minor tendenza di trombosi, a minori livelli di pressione arteriosa e ad un miglioramento della frequenza cardiaca oltre che della funzione vascolare. Al di là della salute cardiovascolare, l’assunzione di acidi grassi omega-3, in particolare di EPA e DHA, è stata collegata ad una vasta gamma di benefici per la salute, tra cui riduzione del rischio di sviluppare alcuni tumori, un corretto sviluppo del feto durante la gravidanza, il mantenimento di una buona salute delle articolazioni e un miglioramento del tono dell’umore. In contrasto con i potenziali effetti collaterali gravi conseguenti alla combinazione di statine con fibrati, una terapia di combinazione di acidi grassi omega-3 e simvastatina ha mostrato pochi eventi avversi correlati.

Riducono il rischio di fibrillazione
Circulation. 2012; 125: 1084-1093. DOI:10.1161/CIRCULATIONAHA.111.062653  Association of Plasma Phospholipid Long-Chain Omega-3 Fatty Acids With Incident Atrial Fibrillation in Older Adults: The Cardiovascular Health Study. - Wu JHY, Lemaitre RN, King IB, Song X, Sacks FM, Rimm EB, Heckbert SR, Siscovick DS, Mozaffarian D

I benefici per la salute del cuore legati al consumo di olio di pesce, e gli acidi grassi omega-3 in esso contenuti, sono ben documentati. Fino ad oggi, gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) sono stati associati a miglioramenti a livello dei lipidi nel sangue della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della funzione vascolare, oltre che una minor tendenza di trombosi. Uno studio prospettico ha analizzato i dati provenienti da 3.326 uomini e donne statunitensi con un’età media di 74 anni. Nel corso dello studio sono stati segnalati 789 casi di fibrillazione atriale. I risultati hanno dimostrato che l’aumento del consumo di acidi grassi omega-3 può ridurre di circa il 30% il rischio di fibrillazione atriale, cioè dell’irregolarità del battito cardiaco (aritmia cronica) negli anziani, un gruppo a rischio particolarmente elevato. In particolare la diminuzione sembra essere associata ai livelli di DHA più che di EPA. In particolare ogni 1% in più di acidi grassi omega-3 assunti è associato ad un rischio inferiore del 9% di sviluppare la fibrillazione striale. Numerose linee guida nazionali ed internazionali alimentari consigliano, da 1 a 2 porzioni di pesce alla settimana (preferibilmente pesce azzurro), per ottenere circa 250 mg o più di acidi grassi omega-3 al giorno.

Tutti i benefici degli acidi grassi OMEGA 3 (PARTE 1: patologie psichiatriche)

Mi limito a riportare gli abstract di articoli scientifici riguardanti la supplementazione con acidi grassi del tipo OMEGA 3 e i loro effetti su disturbi antisociali, psicotici, e depressivi:


Associazioni di omega-3, vitamine e minerali, riducono l’atteggiamento antisociale 


Aggressive Behavior. 2010; 36:117-126  Effects of nutritional supplements on aggression, rule-breaking, and psychopathology among young adult prisoners  - Zaalberg A, Nijman H, Bulten E, Stroosma L, van der Staak C


Secondo un trial clinico randomizzato e condotto in doppio cieco, integratori a base di omega-3, vitamine e minerali possono ridurre il numero di episodi violenti e aggressivi nei detenuti (riduzione del 34% degli episodi di violenza). Come già dimostrato in uno studio precedente condotto in Inghilterra, l’assunzione di integratori a base di acidi grassi e micronutrienti sono in grado di ridurre episodi di violenza da parte di oltre il 39% di giovani violenti. La supplementazione di queste sostanze, quindi, ha effetti benefici sulla salute mentale e sulla funzione cognitiva: esiste quindi uno stretto legame tra dieta e salute mentale. 


Gli omega-3 possono migliorare i disturbi psicotici


Archives of General Psychiatry. 2010; 67:146-154 Long-Chain omega-3 Fatty Acids for Indicated Prevention of Psychotic Disorders: A Randomized, Placebo-Controlled Trial - Amminger GP, Schafer MR, Papageorgiou K, Klier CM, Cotton SM, Harrigan SM, Mackinnon A, McGorry PD, Berger GE


L’assunzione di integratori a base di olio di pesce, ricchi in acidi grassi omega-3 possono ridurre la probabilità di sviluppare disturbi psicotici in persone ad alto rischio. Si indica con alto rischio la probabilità di ammalarsi nel 40% dei casi in 12 mesi. E’ stato osservato che la supplementazione con olio di pesce, ricco di EPA e DHA, ha ridotto del 23% il rischio di progressione verso la psicosi conclamata (solo il 4,9% dei pazienti aveva sviluppato un disturbo psicotico). Il legame tra l’assunzione di omega-3 e funzioni cognitive e comportamentali è già stato osservato in passato e i dati più promettenti sono stati segnalati per il DHA, con miglioramenti a livello della memoria in adulti con declino delle funzioni cognitive legate all’età e ad alcune patologie, come il morbo di Alzheimer. Gli acidi grassi omega-3 possono produrre cambiamenti a livello delle membrane cellulari e interagire con i sistemi di neurotrasmissione nel cervello. Inoltre, hanno il vantaggio di essere tollerabili, ben accettati e di avere costi relativamente bassi, a differenza degli antipsicotici, che spesso non sono accettabili, soprattutto per i giovani.



Gli omega 3 per il trattamento di stress psicologico e sintomi depressivi


Am J Clin Nutr. 2009;89(2):641-51. Ethyl-eicosapentaenoic acid for the treatment of psychological distress and depressive symptoms in middle-aged women: a double-blind, placebo-controlled, randomized clinical trial. - Lucas M, Asselin G, Mérette C, Poulin MJ, Dodin S. - Lucie and André Chagnon Chair for the Teaching of an Integrated Approach in Prevention, Laval University, Saint-François d'Assise Hospital (CHUQ), Quebec, Canada. michel.lucas@crchul.ulaval.ca



Negli ultimi due decenni sono stati condotti numerosi studi clinici (per lo più su casistiche limitate) che dimostravano l’efficacia di dosi elevatissime di acidi grassi essenziali della serie omega 3 (solitamente >4 gr/die) nella gestione di patologie psichiatriche gravi. Il pregio di questo studio è di avere testato l'efficacia di dosi usuali di EPA e DHA in un numero adeguato di pazienti affette da di stress psicologico e sintomi depressivi aspecifici di intensità da lieve a moderata. Nonostante un mancato effetto del trattamento nel prevenire cadute in episodi depressivi maggiori, la supplementazione in EPA e DHA è stata associata ad un miglioramento globale della percezione di benessere e del tono dell’umore. La principale limitante all'ampia prescrizione di EPA/DHA in medicina psichiatrica ad oggi era proprio la convinzione che solo forti supplementazioni (di alto costo e difficile compliance) fossero utili per stabilizzare il tono dell'umore in pazienti depressi.


mercoledì 29 gennaio 2014

sabato 18 gennaio 2014

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